venerdì 29 giugno 2012

QUELLA DI EDUCARE E' ANCORA MISSIONE...?

        Titolo volutamente provocatorio per questo thread di fine anno scolastico, costituito, come si vede, da una domanda fortemente retorica. Quella di educare è , infatti, e rimane  senz'altro una missione fondamentale in generale, e in particolare  per Jeanne Antide e per le Suore della Carità da lei volute. Una carità intelligente , appunto, una carità  che si concretizza quotidianamente nell'opera di educare evangelizzando e di evangelizzare educando che anima tutte le nostre scuole e tutte le nostre iniziative anche al di fuori della scuola propriamente detta.
      Eppure è una domanda che  torna a interpellarci  in questo primo scorcio d’estate, e non solo come operatori  di scuola cattolica, ma anche come  credenti: possiamo ancora ritenerci in missione in campo educativo oppure dobbiamo ricorrere ad altri parametri, ad altre valutazioni, ad altre dimensioni oggettive o categorie di pensiero per qualificare l'opera educativa in sè?
     La domanda resta ovviamente aperta: potremnmo abbozzare mille risposte, con mille distinguo, con altrettanti "se" ,"sebbene" e "ma", però resterebbe ancora inevitabilmente aperta.
      L’educazione infatti  si trova ad affrontare sfide inedite. Ma, come scriveva  Agazzi, già all’inizio degli anni ’80, il concetto di ‘sfida’ all’educazione può essere perfino pericoloso in quanto può far pensare alla necessità di dover ‘rispondere’ puramente e semplicemente a richieste, motivazioni, ‘esigenze’, provocazioni che provengono dall’esterno per adeguarvisi.        Più che ‘rispondere’ a sfide imposte dai ‘fatti’, si deve forse ritenere che l’educazione debba, essa stessa, sfidare positivamente, e perfino aggressivamente dove è necessario, i puri fatti sociali, culturali, degenerativi, disumani e disumanizzanti: così da poter dire, più che sfida all’educazione, sfida dell’educazione, da parte dell’educazione.
        In sostanza, secondo questo e altri autori, si può dire che nell’arco degli anni più recenti si sono create situazioni teoretiche, scientifiche e culturali che interrogano con una certa forza e pressione l’educazione e la scuola intorno ad alcune questioni fondamentali e generali. Tra queste Monsignor Zani in un suo illuminante intervento sul tema  individua come più importanti le seguenti:

        a) La scuola a tutti e per tutti. E’ una prima sfida che riguarda quell’espansione e caratterizzazione che hanno impresso i primi lineamenti di struttura e di animazione all’educazione e alla scuola, in conseguenza del principio democratico della ‘scuola a tutti’, non soltanto in vista del ‘minimo almeno’ necessario a chiunque di istruzione, ma del ‘massimo possibile’ per tutti di sviluppo, ossia di educazione, e segnatamente di scuola: si tratta della cosiddetta ‘scuola di massa’, o meglio scuola di popolo. In questo caso, la sfida è di riuscire a combinare la quantità con la qualità.

        b) Per una scuola di umanità. E’ indispensabile superare la dicotomia tra una scuola e un’educazione solo di cultura e una scuola ed un’educazione di sola prevalente professionalità lavorativa con cultura solo specialistica. Qui entra in campo il discorso relativo alle ‘competenze’. Oggi si deve puntare a un’educazione, anche scolastica e per tutti, che sia unitariamente tanto di cultura quanto di lavoro, ossia di umanità e operatività insieme per ciascuno. Bisogna umanizzare e spiritualizzare il lavoro – anche se non si potrà giungere all’idea di lavoro-felicità, in quanto esso manterrà sempre l’aspetto della fatica legata alle vicissitudini del vivere e dell’esistenza – per recuperargli le motivazioni creative, estetiche e culturali.
        c) Educare al mutamento: il significato della creatività. Nella realtà contemporanea, e soprattutto in occidente, non esiste più ‘il mestiere per tutta la vita’. Quasi paradossalmente, invece di imparare un mestiere è necessario ‘apprendere a cambiare mestiere’ con delle ripercussioni profonde nei riguardi dell’educazione e della didattica. Infatti, i contenuti del sapere, della cultura, delle informazioni sono sempre, e forse anche sempre più, necessari: ma nell’educazione il primato è passato ineludibilmente alle funzioni mentali ed alle acquisizioni di abilità creative, alla capacità di risolvere i problemi, più che di ripetere, con l’aggiunta di tutte le implicanze di insicurezza e di affettività.
        d) Possedere i ‘linguaggi’. A rendere più complesso il quadro culturale in ebollizione ed a minacciare il disorientamento degli spiriti si pone, come già è stato detto, la grande sfida dei mezzi di comunicazione di massa, con i loro effetti, le contraddizioni, i condizionamenti pervasivi. Non si tratta solo di fenomeni esteriori, ma di nuovi ‘linguaggi’, di messaggi trasmessi secondo nuove semantiche e nuove sintassi. Occorre, per questo, una educazione intesa ad interpretare, a decodificare questi nuovi linguaggi ai fini di una vita restituita alla consapevolezza del pensiero e della coscienza.
        e) La ricerca dei valori. La più diffusa delle contrapposizioni è quella tra tradizione e innovazione; ed è un problema antico quanto la cultura. La tradizione non può che giustificarsi nei valori di cui è depositaria anche nella sua presenza di ogni giorno; e la novità e l’innovazione sono da privilegiarsi in quanto rinnovano o propongono valori. Il problema dei rapporti tradizione-innovazione è cioè non un problema cronologico, ma assiologico.
        f) Continuità e qualità dell’insegnamento. Investire in educazione diventa per il futuro un elemento strategico che coinvolge i sistemi di istruzione, di formazione professionale, ma anche di formazione continua. Ci si deve, però, interrogare di quale tipo di insegnamento-apprendimento si tratti. La tendenza emergente sembra quella che vede l'apprendimento funzionale alle esigenze dell'economia e alle richieste del mondo produttivo. Ma questa prospettiva è, indubbiamente, insufficiente e deve essere integrata da un’idea di apprendimento che integri altri significati, più legati alle dimensioni psicologiche, sociali, culturali dell’esperienza del soggetto e che meglio sembrano rispondere alle sfide del cambiamento. 

     Il ‘continuum’ educativo e la qualità, dunque, si intrecciano con una visione antropologica dell’insegnamento, aperta alle dimensioni della costruzione della personalità del soggetto il quale, in un contesto pluralistico, deve imparare a convivere e ad assumere la responsabilità sociale, etica, politica delle proprie scelte. Si tratta di attuare il principio codificato anche nei documenti internazionali: ‘imparare ad essere’ per tutto l’arco della vita.”

lunedì 25 giugno 2012

PER IL VOTO FINALE DEGLI ESAMI CONCLUSIVI DEL I CICLO IL VOTO DI AMMISSIONE PURTROPPO CONTA ESATTAMENTE QUANTO UN VOTO RIPORTATO NELLA SINGOLA PROVA….

     La C.M. n. 48 del 31 maggio 2012 (integralmente riportata tra i documenti del blog : basta cliccare sull’apposito link sulla colonna a dx) detta norme “a carattere permanente” sull’esame di stato conclusivo del I ciclo d’istruzione, puntualizzando, in particolare:

     Esito dell’esame
 
L’esito dell’esame di Stato conclusivo del primo ciclo “è espresso con valutazione complessiva in decimi e illustrato con una certificazione analitica dei traguardi di competenza e del livello globale di maturazione raggiunti dall’alunno; conseguono il diploma gli studenti che ottengono una valutazione non inferiore a sei decimi. A coloro che conseguono un punteggio di dieci decimi può essere assegnata la lode da parte della commissione esaminatrice con decisione assunta all’unanimità” (DPR n. 122/2009).
All’esito dell’esame di Stato concorrono gli esiti delle prove scritte e orali, ivi compresa la prova nazionale INVALSI, e il giudizio di idoneità all’ammissione. Il voto finale “è costituito dalla media dei voti in decimi ottenuti nelle singole prove e nel giudizio di idoneità, arrotondata all’unità superiore per frazione pari o superiore a 0,5”.
Per media dei voti deve intendersi la media aritmetica, dovendosi attribuire a tutte le prove d’esame il medesimo rilievo. Si esclude pertanto ogni possibilità di ricorrere alla media ponderata.
Al riguardo, si ricorda che tutti gli allievi ammessi all’esame di Stato hanno già conseguito nello scrutinio finale almeno un voto di sufficienza nelle diverse discipline. È pertanto cura precipua della commissione e delle sottocommissioni d’esame far sì che il voto conclusivo sia il frutto meditato di una valutazione collegiale delle diverse prove e del complessivo percorso scolastico dei giovani candidati. Occorre quindi evitare possibili appiattimenti, che rischierebbero di penalizzare potenziali “eccellenze” e di evidenziare i punti di forza nella preparazione dei candidati, anche in funzione orientativa rispetto al proseguimento degli studi.
In merito alla ipotesi di applicare un “bonus” in analogia all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo d’istruzione, si fa presente che tale istituto non è contemplato da alcuna norma per l’esame finale del primo ciclo. Pertanto, è da escludere che le commissioni d’esame possano operare in tale senso. “

   Si sottolinea che il voto relativo all’esito finale è quello risultante da una media aritmetica di tutti i voti riportati nelle singole prove scritte, in quella orale e nell’ ammissione all’esame. 

   E’ proprio il voto di ammmissione, che sintetizza la qualità e la quantità di un impegno pluriennale , voto, per quanto possibile, omnicomprensivo e che  in sostanza sintetizza tutta una serie di valutazioni sui livelli di sviluppo di competenze e di formazione umana e sociale acquisito dall’allievo negli otto anni di frequenza del I ciclo di istruzione che riduttivamente è qualificato alla stregua del risultato  di una singola prova disciplinare.

   Si potrebbe, al limite,dare ad esso la stessa valenza del colloquio pluridisciplinare o forse anche quella attribuita alla prova INVALSI, per quanto prova anch’essa parcellizzata per quanto concerne gli ambiti di accertamento, ma è aberrante  attribuire al voto di ammissione lo stesso peso del risultato di una prova scritta specifica, per sua natura settoriale.

   Eppure è’ così!

      Dalla media aridamente aritmetica non si esce e a nulla vale – o quasi – la possibilità di arrotondamento del voto conclusivo all’unità superiore, per un max di 0,49 punti, senza alcuna possibilità per la commissione di disporre di un ragionevole bonus che possa eventualmente riequilibrare un sistema aritmetico di valutazione che in fondo trascura volutamente l’impegno reale manifestato dall’allievo nei primi, preziosi, importantissimi otto anni di scolarizzazione!

     Ciò è purtroppo una realtà e non si vede come e quanto sia percorribile l’itinerario consigliato dalla stessa circolare, secondo cui dovrebbe essere “… cura precipua della commissione e delle sottocommissioni d’esame far sì che il voto conclusivo sia il frutto meditato di una valutazione collegiale delle diverse prove e del complessivo percorso scolastico dei giovani candidati. Occorre quindi evitare possibili appiattimenti, che rischierebbero di penalizzare potenziali “eccellenze” e di evidenziare i punti di forza nella preparazione dei candidati, anche in funzione orientativa rispetto al proseguimento degli studi…

   La contraddizione è purtroppo molto palese!

   E’ altrettando palese quanto sia fumosa e ambigua la possibilità di attribuzione della lode (“A coloro che conseguono un punteggio di dieci decimi può essere assegnata la lode da parte della commissione esaminatrice con decisione assunta all’unanimità”) .Sembrerebbe che l’unica condizione per l’attribuzione della lode sia l’unanimità. Nessun altro criterio oggettivo né suggerito né imposto!
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    Non aggiungiamo alcunchè. Ci auguriamo però che un serio dibattito sulla valutazione dell’esame conclusivo del I ciclo presto ponga rimedio a questi (larghissimi) margini di incertezza e di possibilità di equivoco!

giovedì 21 giugno 2012

La "Quota d'istituto" ? Utilizziamola ...., magari anche bene, per ottimizzare i tempi e i piani di studio!

      Il sia pur  frettoloso dibattito in corso sui contenuti delle “Indicazioni Nazionali  per il curricolo del I ciclo” è certamente molto coinvolgente ( solo su questo blog, nato da poco, le due pagine dedicate nei gg. scorsi hanno registrato   fino a questo momento  oltre 900 accessi), ma non può prescindere da un’attenzione maggiore, che, secondo noi, si dovrebbe prestare ai “contenitori” in cui progettare e realizzare  il curricolo: uno fra tutti, forse il più trascurato e prezioso, la possibilità di ottimizzare i tempi didattici mediante un impiego intelligente e attento  della cd. “quota di autonomia” a disposizione dei singoli istituti.

     In  effetti le varie riforme e riforme delle riforme che, specialmente in quest’ultimo quindicennio, si sono inseguite, e spesso sovrapposte,  nei vari gradi e ordini di scuola, hanno tutte comunque  aumentato i margini di autonomia dei singoli istituti, che hanno ora la possibilità di modificare i piani di studio ed i quadri orari per migliorare e rafforzare l'offerta formativa nelle scuole secondarie di II grado e, per analogia o, meglio, per una continuità non effimera di curricolo, anche nelle scuole del primo ciclo. Gli strumenti messi a disposizione (http://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/l...) sono sostanzialmente tre:
 
1. quota d'autonomia
2. quota di potenziamento
3. insegnamenti facoltativi.

     Prima di soffermarci sui possibili impieghi della quota di autonomia,  osserviamo brevissimamente i caratteri essenziali della quota di potenziamento e degli insegnamenti aggiuntivi:

La quota di potenziamento
 
    Ogni istituto può richiedere un organico aggiuntivo, per svolgere alcune ore di lezione oltre quelle previste dal monte ore annuo della singola classe. Potranno essere potenziati gli insegnamenti obbligatori già presenti nel quadro orario, incrementandone l'orario, oppure potranno essere inseriti degli insegnamenti aggiuntivi, che, nel caso delle scuole paritarie, non sono soggetti a preventiva autorizzazione   del MIUR in quanto non comportano per quest’ultimo spese aggiuntive di sorta. In ogni caso le ore di potenziamento sono facoltative per la scuola, che può scegliere di attivarle  o meno, ma obbligatorie per gli studenti. Perciò, una volta che la scuola  le ha previste nel curricolo, almeno di anno in anno, la frequenza alle lezioni è obbligatoria.

Gli insegnamenti facoltativi
 
    La scuola può decidere inoltre  di attivare ulteriori insegnamenti a proprie spese o con la parziale, volontaria contribuzione delle famiglie. Questi insegnamenti rimarranno comunque facoltativi per gli studenti, che possono individualmente decidere se aderirvi o meno; ma se decidono di frequentarli dovranno farlo con assiduità, perché concorreranno alla valutazione finale.

La quota d'autonomia  

    L’impiego della quota di autonomia  è spesso  gravato  in molte scuole da grande confusione e non pochi equivoci: uno fra tutti, forse il più dannoso, quello di considerare la sottrazione della quota in parola alle “ore di lezione” alla stregua di una impropria quanto improponibile “riduzione” sic et simpliciter dell’ora di lezione.
     Ma andiamo con ordine:

  Gli spazi di autonomia, didattica, organizzativa, di ricerca, di sperimentazione esviluppo, delegati direttamente alle scuole dal DPR 275/99 e dalle successive modifiche, non sono stati modificati dai decreti di riordino del secondo ciclo. Ogni istituto può, mantenendo inalterato il monte   ore annuale complessivo, modificare il quadro orario spostando alcune ore da una disciplina ad un'altra. Non è possibile, però, modificare il quadro orario a proprio piacimento. E' necessario seguire alcune regole fondamentali:
- la quota complessiva dell’autonomia non può superare la soglia del 20%;
- questa è quantificabile sia all’interno del monte ore assegnato annualmente a ciascuna disciplina di insegnamento che sull’intero quadro orario annuale del piano di studi.

    Mentre le scuole paritarie, dopo che i collegi docenti avranno deliberato l'utilizzo della quota d'autonomia, potranno procedere autonomamente e senza vincoli, le scuole statali dovranno avanzare la loro proposta all'USP (ora UST), che verificherà  soltanto il rispetto dell'ultimo vincolo.
    Ricordiamo che l'utilizzo della quota d'autonomia modifica in modo strutturale l'organico richiesto dalla scuola, dalla classe prima alla classe terminale ; quindi è opportuno utilizzarla all'interno di una proposta che prenda in considerazione il percorso formativo dell'intero ciclo di studi, ragionando sul curricolo globale. Suggeriamo inoltre di non modificare troppo spesso questa quota d'autonomia, ma di mantenerla inalterata per almeno un triennio, in modo da non generare confusione nelle famiglie e nei futuri iscritti.

Un esempio pratico  di utilizzo della quota  di autonomia

      Nel caso, ad esempio, del piano di studi strutturato su 957 ore annuali, calcolando unità orarie di 50 minuti invece che di 60, si ottengono 1148 unità orarie: 957 x 60 = 57420 minuti a 57420: 50’ = 1.148 unità orarie, equivalenti a 191 unità orarie annuali aggiuntive.
       Queste si aggiungono alle 957 del piano di studi obbligatorio (957 + 191= 1148 unità orarie) che equivalgono a loro volta a  circa 35 ore settimanali di 50 minuti per ciascuna delle 33 settimane, a fronte delle 29 originarie, con un  residuo di frazioni orarie utilizzabili per le visite guidate ed i viaggi di istruzione, per le attività di recupero  ed altro ancora.
        In tal modo la quota di autonomia utilizzata equivale a circa il 16%.
Un maggior  o minore numero di ore può essere reperito riducendo ulteriormente o di meno  la durata dell’unità oraria, variando così la quota autonoma ed aumentando il numero delle unità orarie, che si sommano a quelle obbligatorie; tali scelte possono determinare una durata differenziata del piano di studi giornaliero e settimanale, come d’altronde già avviene.
        Il calcolo può essere riferito , ad esempio, al  monte ore di una singola disciplina insegnata per 99 ore annuali per cui si ottiene: 99 x 60 = 5.940 da dividere per 50 (durata dell’unità oraria) che determina un accrescimento di 18 unità orarie, (5.940 : 50 = 118) in più rispetto a quelle del piano di studi nazionale di cui il docente o il consiglio di classe o il collegio dei docenti  possono  liberamente disporre in termini di potenziamento nel quadro degli obiettivi formativi previsti nel Pof e di quelli fissati dagli ordinamenti.
 
Gli effetti sulle componenti scolastiche

         Per gli studenti queste sono differenziabili, in termini di qualificazione dell’offerta, all’interno del monte ore assegnato come livello essenziale di prestazione.
      Per il consiglio di classe ciò si traduce nella possibilità di ampliare l’orario settimanale di lezione( nell’esempio di un monte  di 29 h settimanali) da 29 a 35 unità orarie di 50 minuti ciascuna, con delle frazioni residue da impiegare poi per recuperi o viaggi d’istruzione.
         Per gli insegnati si traduce in un programmazione didattica su 21 unità orarie settimanali di 50’ invece che 18 solari (con un residuo settimanale di 30’ da impiegare, cumulandolo in ambito annuale, per  un corrispondente n. di x  di ore di supplenza di docenti assenti), con effetti benefici  sulla ricaduta didattica ( la soglia di attenzione di una classe è ottimale solo per i primi 45’ di lezione) e in considerazione della competenza assegnata al collegio dei docenti di deliberare la distribuzione del nuovo monte ore secondo la vocazione formativa caratterizzante la scuola, la risposta ad opzioni formative espresse dalle famiglie e dagli studenti e di programmare le attività di recupero e potenziamento, finanche le sostituzioni dei colleghi assentii secondo valutazione attenta e dettagliata  dei carichi individuali  di lavoro dei docenti stessi e delle esigenze formative generali della scuola.

sabato 16 giugno 2012

RESTANDO ANCORA SULLA NUOVA BOZZA DI “ INDICAZIONI NAZIONALI PER IL CURRICOLO DELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E DEL PRIMO CICLO”…

     Abbiamo lasciato  in primo piano fino a oggi  il precedente thread sul  medesimo argomento in considerazione dell’ elevatissimo interesse che ha suscitato tra gli amici che frequentano il nostro blog ( fino a questo momento abbiamo contato oltre 650 accessi alla pagina) . Riteniamo pertanto utile restare sullo stesso argomento ritornando un po’ alla cronistoria delle “Indicazioni Nazionali” e cercando di riassumere le perplessità  più salienti verso la nuova bozza già espresse da più parti,  anche attraverso – non ultimi – i commenti pervenuti sul precedente thread (alcuni dei quali abbiamo dovuto rimuovere in quanto ostili in modo palesemente preconcetto alle indicazioni del MIUR).

DAGLI OBIETTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO ALLE UNITA’ DI APPRENDIMENTO, AL CURRICOLO

      Due sono i tipi di “Indicazioni” che  si sono sovrapposti nell’ultimo decennio nell’ampio arco di scolarizzazione che va dalla scuola dell’Infanzia , alla Primaria, fiono alla Secondaria di I grado, con inevitabili confusione e disagio per il personale che doveva applicarli, essendo densi i documenti di riferimento di visioni pedagogiche di diverso se non contrapposto orientamento.
     Le “Indicazioni “ del 2004, lanciate dall’allora ministro Moratti, lasciavano da parte i vecchi programmi prescrittivi ed erano imperniate su una pratica, per cui il docente era chiamato a tradurre gli obiettivi specifici di apprendimento (prescrittivi) in unità di apprendimento, tanto valide quanto rispondenti alle esigenze specifiche della classe a cui erano rivolte. Si leggeva appunto, in uno degli allegati al decreto istitutivo, che “è compito di ogni scuola autonoma e dei docenti assumersi la libertà di mediare, interpretare, ordinare, distribuire ed organizzare gli obiettivi specifici di apprendimento… nelle unità di apprendimento”. apparvero  però tra gli obiettivi per la classe terza media una serie di “educazioni”, compresa l’educazione all’affettività (che si proponeva di esplorare il nesso affettività-sessualità-moralità) che fecero storcere parecchio il naso a chi riteneva che tali ambiti non potessero essere appaltati all’istruzione statale, per quanto di buona qualità, essendo di esclusiva prerogativa di un rapporto di libertà educativa che si accende tra persone.

     Appena tre anni dopo, nel 2007, appaiono  le “Indicazioni per il curricolo”  del ministro Fioroni, che,  formulate  all’insegna dell’educare-istruendo, intendevano correggere una certa frammentarietà cui le unità di apprendimento potevano dare corso e fornivano una loro interpretazione del passaggio dall’insegnamento all’apprendimento che ogni scuola sensata dovrebbe proporsi. Interpretazione centrata sul concetto di curricolo, che, sulla scorta dell’esperienza maturata (?)  nelle scuole anglosassoni, avrebbe dovuto evitare l’accumulo delle informazioni per dare alla progettazione didattica dall’infanzia alla scuola superiore una “progressività” tale da promuovere la connessione tra i saperi.
    Le Indicazioni  nazionali “per il curricolo” dunque  introducevano la dialettica  progettuale delle “  competenze” , intese come “traguardi per lo sviluppo delle competenze”. 

COME CONIUGARE  ANCORA OGGI DUE VISIONI DELLA SCUOLA DISCORDANTI?

     Dunque cosa applicare nella scuola, le “Indicazioni” Moratti o quelle Fioroni? Il Miur se la cavava nel 2009 suggerendo che le indicazioni Moratti fossero applicate “come aggiornate dalle Indicazioni per il curricolo” di Fioroni: un consiglio che avrebbe voluto essere salomonico, ma che si rivelava fortemente ambiguo, se non pericoloso, data la  forte discordanza dei due testi. Era necessario dunque – e il MIUR se ne rendeva conto – procedere almeno a un  monitoraggio, che raccogliesse  dalle istituzioni scolastiche statali e paritarie del primo ciclo di istruzione ogni elemento possibile di valutazione utile  all’eventuale revisione delle Indicazioni.

    Il monitoraggio, affidato all’Ansas e all’Invalsi, è però partito solo nel 2011, con estremo ritardo rispetto ai momenti di grave incertezza vissuti nelle scuole reali, i cui collegi dei docenti, i cui consigli di classe e di interclasse erano costrette  ( e lo sono ancora, ahimè) a barcamenarsi tra le discordanti indicazioni targate Moratti e quelle targate  Fioroni, entrambe  ancora in vigore(!).
 
GLI ESITI DEL MONITORAGGIO INVALSI CIRCA L’APPLICAZIONE DELLE “PIU’ VECCHIE E MENO VECCHIE” INDICAZIONI NAZIONALI

    Il monitoraggio ha interessato 5.986 istituzioni statali e 4.250 paritarie e tendeva   a sondare il  “contesto di riferimento all’interno del quale le scuole hanno sperimentato Indicazioni e riforme del sistema”. Ne è emerso che:

·        le Indicazioni Nazionali “Moratti” sono state applicate dall’87,5% delle scuole (56,6 abbastanza; 30,9 molto): non rifiutate dunque a priori anche se superate dalle Indicazioni per il curricolo, applicate da quasi il 95% delle scuole (50,9 abbastanza; 44,0 molto);
·         il 94,1% delle scuole ha modificato il Pof (Piano dell’offerta formativa) sulla base delle Indicazioni. Nella scuola primaria l’offerta formativa è stata modificata prevalentemente in Teatro/ danza/ musica (68,3%); nella scuola secondaria di I grado l’ambito delle maggiori modifiche è quello delle Lingue (54,5%);
·         il 73,3% delle istituzioni scolastiche  ha valutato positivamente gli apprendimenti sulla base degli standard fissati dalla singola scuola, tenendo in qualche modo a distanza sia gli standard europei, che le prove nazionali (leggi Invalsi).

          Nel complesso dunque  non sembra avvenuta alcuna rivoluzione, semmai una sovrapposizione o un  assorbimento del nuovo in un contesto progettuale  di riferimento fondato su canoni in gran parte superati, o quasi !

IL LAVORO DELL’ATTUALE COMMISSIONE

    La commissione per la revisione  attualmente al lavoro, come si sa,  ha già fornito una bozza (30 maggio) sulla quale le scuole dovranno esprimersi compilando entro il 30 giugno un questionario a risposta chiusa.  Si prevede anche l’rganizzazione di  supporto di  seminari tematici, gestiti in collaborazione con scuole, reti di scuole, enti locali, associazioni, università. Sono attese memorie, proposte, segnalazioni da parte di agenzie educative  e culturali varie  o anche da semplici  gruppi spontanei  di persone interessate (CM. N. 46/2012). 

LA “BOZZA DEL 30 MAGGIO” :INSTRUMENTUM LABORIS O GIA’ DOCUMENTO?

     Più che uno strumento di lavoro, a noi ( e non solo a noi)  sembra che la bozza ( scaricabile integralmente dai “documenti” di questo blog, accessibili tramite l’apposito link riportato nella colonna a dx)  sia   un  vero e proprio documento già molto definito: esso riporta inserite, ad esempio, come imprescindibili  le otto competenze-chiave europee del 2006 (tra le quali “imparare ad imparare”) che altri documenti successivi avevano peraltro ridefinito ed adattato. Inoltre si fa intendere molto esplicitamente  che le “nuove” Indicazioni saranno funzionali alla “progressiva generalizzazione degli istituti comprensivi” per i quali si vuole costruire una sorta di piattaforma unitaria dei saperi di base. Questa piattaforma si chiama appunto “curricolo” che nell’ accezione comune  non è una “ semplice” organizzazione delle conoscenze, ma una loro strutturazione  finalizzata a un’idea di  scuola omogenea e progressiva. 

OSSERVAZIONI  CONCLUSIVE

    Riteniamo che se la consultazione sia davvero occasione di apertura alla scuola reale e alle esperienze di insegnamento/ apprendimento che abbiano a cuore la crescita umana e culturale degli alunni, prima ancora della funzionalizzazione dei saperi , quest’ottica debba essere modificata, affidando alla “bozza” il ruolo che le è proprio,  cioè di  mero strumento di discussione e di confronto, e non quello di un ‘ anticipazione al 90% ( se non oltre) di quelle che saranno le future Indicazioni definitive.
   Il confronto sull’impostazione e sulla visione pedagogica che deve ispirare le Indicazioni non può inoltre  essere ulteriormente  disatteso, mentre deve restare  aperto un realistico dibattito anche sui saperi, sulle discipline, sui contenuti, sull’impostazione concreta, efficace e non  solo “cartacea” del curricolo.
   Sarà fatto?

sabato 9 giugno 2012

LE NUOVE INDICAZIONI NAZIONALI PER IL CURRICOLO NELLA SCUOLA DELL'INFANZIA E DEL PRIMO CICLO NELLA BOZZA DEL 30 MAGGIO 2012: qualche sommesso commento...


       Le Indicazioni Nazionali  attualmente in vigore per il curricolo della scuola dell'Infanzia e del Primo Ciclo ( Primaria e secondaria di I grado) risalgono appena al settembre 2007 e già sono considerate vecchie e superate o  comunque " superabili" al più presto. In effetti con   DPR del 20 marzo 2009, n. 89,  il M.I.U.R. invitava a   metterle alla prova, ma in questi tre anni non è stato fatto nulla per portare a sintesi culturali esperienze e riflessioni locali, quando e dove ci sono state... Le scuole, come è noto, sul piano organizzativo, hanno dovuto fare i conti con la pesante riduzione organica, sul piano culturale, hanno dovuto fronteggiare il sempre più “intrusivo” sistema di valutazione esterna che ha orientato, in qualche modo, anche le stesse Indicazioni per il curricolo del 2007.
 
      E' dunque pronta una bozza per le Nuove Indicazioni, che noi riportiamo interamente  tra i "Documenti del blog" (clicca apposito link sulla colonna a dx), sulla quale è apertissima ( la C.M.  24 maggio 2012, n. 46 pone tempi estremamente ridotti ) un' altrettanto frettolosa consultazione delle scuole,  che  in questo periodo sono oberate dagli  onerosi e delicati impegni di valutazione finale degli alunni e dagli esami.

     Sebbene la lettura della bozza in parola sia stata necessariamente frettolosa e non oggetto ancora  in molte delle nostre scuole di  dibattito interno nei collegi dei docenti, ci sentiamo ugualmente in dovere di esprimere a caldo - visti i ridottissimi tempi che abbiamo a disposizione - qualche nostro commento di fondo, che, tra l'altro, abbiamo anche provveduto a rappresentare tramite FIDAE. E' ovvio che i commenti  che seguono,pur non rappresentando in via ufficiale la linea delle scuole paritarie SdC, costituiscono ugualmente un possibile canovaccio per la discussione  all'interno dei collegi dei docenti delle medesime scuole .  E'  comunque  opportuno che ogni docente e ogni dirigente scolastico partecipi alla consultazione , inviando  le proprie osservazioni anche  all'indirizzo: indicazioninazionali2012@istruzione.it.   o comunque  compilando il questionario on line  come indicato dalla Circ. MIUR n. 31 del 18 aprile u.s., richiamata dalla circ.n. 49 del 31 maggio scorso.
   
      In ogni caso, ecco, in strettissima sintesi, le nostre osservazioni di fondo:
  • ·         Dagli “obiettivi generali del processo formativo”, delineati a pag. 3 della Bozza, sembra  categoricamente escluso quello dello  sviluppo e graduale potenziamento nella coscienza dell’allievo dei fondamenti etici e anche spirituali che sono , tra l’altro, estremamente funzionali all’irrobustimento della formazione alla Cittadinanza e che, comunque, restano obiettivi prioritari per le scuole cattoliche ( e non solo per esse, ci si augura);
  • ·         Quando si tratta di progettare e delineare essenzialmente il passaggio dalle indicazioni al curricolo, si rimane forse nell’ambito di una proposizione troppo ottimistica e comunque lasciata alla buona volontà delle singole istituzioni scolastiche, specialmente per la scelta di “esperienze di apprendimentgo più efficaci, scelte didattiche più significative,strategie più idonee, ecc.” Vista la delicatezze del processo di concretizzazione delle indicazioni nella prassi scolastica quotidiana, non è forse il caso di individuare e dettare proposte operative concrete , senza lasciare il tutto al volontarismo delle singole scuole o, peggio, dei singoli operatori scolastici?
  • ·         In generale le indicazioni per le scuole dell’Infanzia e Primaria appaiono ben definite e concretamente perseguibili; un po’ meno  concrete, definite e convinte sembrano invece quelle relative alla scuola secondaria di I grado;
  • ·         Gli obiettivi delineati per l’apprendimento della Storia e della Geografia, sia in ambito di scuola primaria sia , soprattutto, in ambito di scuola secondaria di I grado, sembrano molto dispersivi, anche se in complesso assai pretenziosi: non è il caso di sfoltirli e di corredarli da un tessuto di contenuti di apprendimento consono ai tempi disponibili all’interno del monte ore dedicato e alle rali possibilità di sistemazione logica da parte degli alunni?
  • ·         L’apprendimento dei  contenuti per  Cittadinanza e Costituzione (espressione  che indica una’ esigenza di formazione estremamente ampia e complessa) viene ancora una volta lasciato  alle scelte ( o forse all’arbitrio?) dei singoli docenti o , al massimo, dei singoli consigli di classe per quanto attiene all’individuazione dei tempi dedicati all’interno della scansione del curricolo, col risultato, purtroppo ampiamente sperimentato, di ridurre tale formazione, bene che vada, solo  a momenti marginali. Ci si chiede se non sia il caso di ordinare  tale formazione ( e i relativi , imprescindibili apprendimenti), in spazi istituzionalizzati e consolidati all’interno degli orari settimanali di lezione (per es, sfruttando la quota del 20%...), senza lasciare anche questa delicatissima materia alla volontarietà progettuale o meno dei collegi dei docenti!
  • ·         Più in generale le Indicazioni rivelano forse un’eccessiva ricerca di “omnicomprensività” delle diverse istanze pedagogiche, filosofiche, ideologiche, ma anche nella riproposta ciclica, nel passaggio da un livello all’altro di istruzione, dei vari obiettivi formativi e soprattutto didattici.

mercoledì 6 giugno 2012

LA SCUOLA CATTOLICA STRETTA INTORNO AL PAPA IN QUESTO TERRIBILE MOMENTO DI ATTACCO ALLA SANTA SEDE

         La Scuola Cattolica tutta, sicuramente tutte le nostre scuole SDC, in questo momento in cui oscure forze sferrano continui attacchi alla Santa Sede cercando di minare l’autorità di Pietro, si schierano a viso aperto intorno al Papa, elevano preghiere, assicurano interventi educativi obiettivi e sereni per sfatare nei nostri giovani, tra gli allievi tutti e le loro famiglie, quall’acre sentore di ambiguità diffuso da molti media, amplificato e reiterato di continuo col solo scopo di indebolire la Santa Madre Chiesa!

         Aderiamo  dunque di buon grado  all’invito  di pregare diffuso oggi dal Cardinale Vallini per la diocesi di Roma, ma virtualmente rivolto a tutto il mondo, a “testimoniare pubblicamente la nostra fede e l’unità della Chiesa di Roma intorno al suo Vescovo. In un momento in cui la Sede di Pietro è fatta oggetto di gravi e ingiuste illazioni, che disorientano la gente, desideriamo elevare al Signore la nostra fervente preghiera per tutti, perché ci conceda il dono dell’unità e della pace.”
 
        Siamo consapevoli che  Ubi Petrus, ibi Ecclesia e che comunque …NON PREVALEBUNT!

        Informiamo gli amici che ci seguono su questo blog  che una  grande veglia di preghiera si terrà Venerdi' , 22 giugno  in piazza San Pietro per il Papa Benedetto XVI e per il suo Pontificato,  promossa dal   Movimento per l'Amore Familiare, presieduta dal  cardinale Angelo Comastri, vicario del Pontefice per la Citta' del Vaticano. Sono previsti la recita dei misteri dolorosi del Santo Rosario , i commenti scritti e letti dalle  famiglie ed una fiaccolata.
  Fin da adesso invitiamo tutti coloro che non potranno partecipare  alla veglia, alla recita   dei  Misteri Dolorosi del Santo Rosario anche nelle proprie case o nei posti di lavoro.

domenica 3 giugno 2012

La famiglia , vera scuola di formazione alla comunione, al lavoro e alla pace; la scuola cattolica, vero laboratorio di formazione alla famiglia, al lavoro e alla pace

    Riprendendo  i contenuti basilari del Documento della Congregazione per l’educazione cattolica “EDUCARE INSIEME NELLA SCUOLA CATTOLICA” (vd. Documento integrale pubblicato su questo blog nel link “Documenti”), Benedetto XVI, in chiusura del  bellissimo Family Day di Milano, ha sottolineato ancora una volta quanto sia importante che Famiglia e Scuola, in una sinergia totale educhino  “in comunione” alla comunione.

   Ritornando anche noi a una riflessione breve, ma profonda sullo stesso Documento, ne ritroviamo almeno due aspetti che non è possibile ignorare o sottovalutare, come purtroppo spesso accade:

   “L’educazione, proprio perché mira a rendere l’uomo più uomo, può autenticamente attuarsi solo in un contesto relazionale e comunitario. Non a caso il primo ed originario ambiente educativo è costituito dalla comunità naturale della famiglia. La scuola, a sua volta, si pone accanto alla famiglia come lo spazio educativo comunitario, organico ed intenzionale e ne sostiene l’impegno educativo, secondo la logica della sussidiarietà. La scuola cattolica, che si caratterizza principalmente come comunità educante, si configura come scuola per la persona e delle persone. Essa, infatti, mira a formare la persona nell’unità integrale del suo essere, intervenendo con gli strumenti dell’insegnamento e dell’apprendimento là dove si formano «i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita» Ma soprattutto coinvolgendola nella dinamica delle relazioni interpersonali che costituiscono e vivificano la comunità scolastica. D’altra parte, questa comunità, in ragione della sua identità e della sua radice ecclesiale, deve aspirare a costituirsi in comunità cristiana, ossia comunità di fede, capace di creare rapporti di comunione, per se stessi educativi, sempre più profondi. Ed è proprio la presenza e la vita di una comunità educativa, nella quale tutti i membri sono partecipi di una comunione fraterna, nutrita dalla relazione vivente con il Cristo e con la Chiesa, che fa della scuola cattolica l’ambito di un’esperienza autenticamente ecclesiale. “

     Non ci sfugge, di rimando, il richiamo preciso del Documento al ruolo che  persone consacrate e  fedeli laici conducono e devono condurre insieme nella scuola:

 «Uno dei frutti della dottrina della Chiesa come comunione, in questi anni è stata la presa di coscienza che le sue varie componenti possono e devono unire le loro forze, in atteggiamento di collaborazione e di scambio di doni, per partecipare più efficacemente alla missione ecclesiale. Ciò contribuisce a dare un’immagine più articolata e completa della Chiesa stessa, oltre che a rendere più efficace la risposta alle grandi sfide del nostro tempo, grazie all’apporto corale dei diversi doni». 

      In tale contesto ecclesiale la missione della scuola cattolica, vissuta da una comunità costituita da persone consacrate e da fedeli laici, assume un significato del tutto particolare e manifesta una ricchezza che occorre saper riconoscere e valorizzare. Questa missione esige, da tutti i membri della comunità educativa, la consapevolezza che un’ineludibile responsabilità nel creare l’originale stile cristiano spetta agli educatori, come persone e come comunità. Richiede da loro di essere testimoni di Gesù Cristo e di manifestare che la vita cristiana è portatrice di luce e di senso per tutti. Come la persona consacrata è chiamata a testimoniare la sua specifica vocazione alla vita di comunione nell’amore, per essere nella comunità scolastica segno, memoria e profezia dei valori del Vangelo, così anche all’educatore laico è richiesto di realizzare «la sua missione nella Chiesa vivendo nella fede la sua vocazione secolare nella struttura comunitaria della scuola»
     Ciò che rende davvero efficace questa testimonianza è la promozione, anche all’interno della comunità educativa della scuola cattolica, di quella spiritualità della comunione che è stata additata come la grande prospettiva che si spalanca alla Chiesa del terzo millennio.
        Anche in quella particolare espressione della Chiesa che è la scuola cattolica, la spiritualità della comunione deve diventare il respiro della comunità educativa, il criterio per la piena valorizzazione ecclesiale delle sue componenti ed il punto di riferimento essenziale per l’attuazione di una missione autenticamente condivisa.

   Sono parole inequivocabili….le stesse che appena ieri Jeanne Antide Thouret  additava a chi operava nelle scuole da lei fondate… le  stesse che ci ricorda oggi…!