mercoledì 3 aprile 2013

L’ANNO della FEDE negli ambienti educativi delle Suore della Carità:UNA FEDE POSSIBILE, COMPRENSIBILE, DESIDERABILE ( Parte I)

    Pubblichiamo la prima delle tre parti di cui consta lo studio di Sr Paola Arosio, SdC, sulle possibili modalità di incentivazione della Fede all'interno dei "luoghi" educativi, intesi anche come possibili "laboratori di fede".
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Per una fede possibile, comprensibile, desiderabile negli ambienti educativi:
                Quale spiritualità pastorale?
                Quale organizzazione?
                Quale pedagogia?

ALCUNE CONDIZIONI CONCRETE FAVOREVOLI 

Congregazione per l’educazione nella scuola cattolica n. 9


          La scuola cattolica si configura come scuola per la persona e delle persone. «La persona di ciascuno, nei suoi bisogni materiali e spirituali, è al centro del magistero di Gesù: per questo la promozione della persona umana è il fidella scuola cattolica»

 Perciò la scuola cattolica, impegnandosi a promuovere l'uomo nella sua integralità, lo fa, obbedendo alla sollecitudine della Chiesa, nella consapevolezza che tutti i valori umani trovano la loro realizzazione piena e quindi la loro unità nel Cristo. Questa consapevolezza esprime la centralità della persona nel progetto educativo della scuola cattolica, ne rafforza l'impegno educativo e la rende idonea ad educare personalità forti.
 

    Lo sappiamo per noi stessi, per ciascuno di noi, e con questa umile consapevolezza ci mettiamo a servizio della formazione intellettuale, morale e fisica dei ragazzi: l’umanità è costantemente in evoluzione, l’umanità è sempre in attesa e in via di compimento. Del resto, anche i nostri modi di dire ce lo rivelano: “Quanto è umano quel medico!”, “quel sacerdote è molto umano”, “quell’insegnante, quell’infermiere, quell’imprenditore… è pieno di umanità”. L’aggettivo umano, dunque, non indica solo una specificazione biologica. Ci restituisce la coscienza che l’essere umano degli uomini e delle donne non è affatto realtà scontata. È conquista. È fatica.


     Da questo punto di vista, la scuola cattolica è, prima di tutto e soprattutto, un servizio di umanizzazione a vantaggio delle persone e dell’intera comunità civile. Divenire umano, uscire dalla violenza, edificare la convivialità sociale, amare e abitare il mondo nella passione per la giustizia, per la ricerca del bene comune, per l’ospitalità del creato, è un compito né dato, né tracciato in anticipo. Richiede tempo e lavoro. E l’istituzione scolastica, al riguardo, è un luogo privilegiato dove, secondo un’espressione tradizionale “si costruisce la propria umanità”. Si tratta, semplicemente e prioritariamente, di contribuire alla sviluppo in pienezza dell’umanità di ciascuno. La scuola cattolica, mettendo a disposizione dell’umanità la propria tradizione spirituale, pedagogica, formativa, contribuisce al compito di umanizzazione.



    Ma vi contribuisce ispirandosi all’antropologia cristiana”, cioè dal punto di vista specifico del Vangelo. Quindi, se per la scuola cattolica l’umanizzazione è già un fine in sé, esso non è l’unico. Perché sulla strada dell’umanizzazione, la scuola cattolica intende aprire uno spazio propositivo di accompagnamento e di maturazione della fede cristiana. Non perché questa sia necessaria alla vita dell’uomo. Basta guardarsi intorno: moltissime vite umane si sviluppano e si mettono al servizio degli altri senza essere sostenute da una fede in Dio. La “questione di Dio” oggi non trova più un punto di ancoraggio nell’esistenza, in Occidente, nella maggior parte delle persone, senza peraltro che si assista ad un crollo di senso e di valori[1]. Infatti, non c’è vita senza “fede”, ma nel senso di  “senza fiducia in sé stessi, nell’altro, nella vita”. Noi tutti siamo attaccati alla vita, ci crediamo, lottiamo per la sua conservazione e per il suo miglioramento e desideriamo viverla nel modo migliore possibile. Questo tipo di fede è necessaria alla vita, ma essa non indica specificamente la confessione della fede cristiana.


      La convinzione della scuola cattolica, al riguardo, consiste nel fatto che riconoscere Dio, se non è necessario per vivere, può tuttavia essere vivificante per l’uomo e per la donna, per farlo crescere  ancora di più nella sua umanità. E non si tratta solo di avviare i giovani al fatto religioso. Lo fanno anche le istituzioni statali, in quanto fa parte dell’opera di umanizzazione di cui sopra. Ma, pienamente impegnata nel campo dell’umanizzazione, oltre all’apertura al fatto religioso, la scuola cattolica intende annunciare e proporre esplicitamente la fede cristiana alla quale si riferisce. Non in quanto questa proposta sia secondaria o aggiuntiva, ma iscrivendosi in uno spazio di gratuità e di libertà: seguendo la scia del lavoro di umanizzazione degli studenti, la scuola cattolica intende offrire le condizioni che rendano la fede liberamente possibile, comprensibile, desiderabile.



Per una fede possibile, comprensibile e desiderabile nel mondo scolastico



Gli ambienti educativi in genere (scuole, oratori, collegi, società sportive o musicali, movimenti e associazioni giovanili…) sono un microcosmo della società. Riguardo alla proposta della fede cristiana si presentano come un terreno privilegiato dove si possono sperimentare le difficoltà, ma anche le opportunità della fede cristiana per il mondo futuro. Gli ambienti educativi sono luoghi per eccellenza per far crescere in umanità nello spirito del Vangelo. Almeno per una parte, il mondo di domani e, con esso, il cristianesimo futuro sono in gestazione negli ambienti educativi di oggi.

Certamente vi sono delle condizioni concrete che favoriscono il risveglio e la maturazione delle fede cristiana nelle nuove generazioni all’interno degli ambienti educativi. Ma prima di individuarle, occorre che comprendiamo bene da quale tipo di realtà sociale sono avanzate, quale spiritualità pastorale esigono e quindi in quale tipo di organizzazione meglio si esprimono.



Nell’attuale ambiente culturale:


Sul piano sociale e culturale, ciò che viene consegnato ai giovani, è un mondo secolarizzato, pluralista, multi-religioso, cioè un mondo cui le proposte di senso sono diverse e dove ciascuno deve tracciare il proprio cammino, trovare le sue risorse e formare le sue convinzioni.


La crisi della trasmissione religiosa appare, da questo punto di vista, non come la fine della religione, ma come un’interruzione della sua trasmissione automatica, per il fatto che questa è ormai dipendente dalla riflessione, dall’interpretazione, dalla libertà, dalla decisione come anche dall’indecisione di ciascuno. Per i giovani di oggi la fede è soprattutto, per forza di cose, interrogativi, questioni aperte e punti di sospensione…E questi dubbi, domande, incertezze, esplorazioni, sono per loro, e per noi, un punto di partenza, non un punto finale. Il futuro, a riguardo, può sempre riservare delle sorprese. Il contesto culturale attuale, globalizzato, inter-etnico, e multireligioso va guardato senza ingenuità, ma con fiducia. Mette sicuramente alla prova la fede, ma nello stesso tempo le apre una stagione assolutamente inedita: la fine del cristianesimo sociologico può essere l’inizio del cristianesimo della grazia e della libertà. Chi può misurare le sorprese che lo Spirito prepara alla sua Chiesa?


Giovanna Antida, fatte le debite differenze, si è addirittura trovata immersa in un mondo culturale e sociale nel quale era stata bruscamente e violentemente interrotta la catena della tradizione della fede. Eppure, senza nostalgie o rimpianti per un mondo unanimemente cristiano come era stato quello delle campagne francesi dell’Ancien Régime,  ha coinvolto molte altre giovani donne della sua diocesi, e non solo, nell’impresa pastorale di “insegnare ai poveri, ai malati e anche ai bambini a conoscere, amare e servire Dio", per riportare a Dio un’umanità che ne era stata violentemente allontanata dalla sistematica azione scristianizzatrice attuata durante le fasi più acute della Rivoluzione Francese.



Siamo eredi di una lunga tradizione vivente che vogliamo rendere attuale…(RdV 1.4.1):
Servire i poveri
(i bambini, i ragazzi, i giovani,
gli studenti, le loro famiglie,
gli insegnanti, i collaboratori, le suore…)
membra preziose di Gesù Cristo,
aiutandoli a risalire
dai loro bisogni primari
a quelli ultimi, più profondi e più veri,
fino alla loro dignità di figli di Dio,
accompagnare le persone
nelle loro ricerche,
aiutandole a conoscere ed amare il Signore
(Intenzione fondazionale di J.A. Thouret)

Quale spiritualità pastorale negli ambienti educativi?



Il servizio e l’evangelizzazione dei poveri

sono per noi, come per Gesù,
le espressioni privilegiate dell’amore,
 caratterizzano la missione che la Chiesa “serva e povera” ci affida.

RdV 5.1.3.


Nelle attuali, difficili situazioni, ciò di cui hanno bisogno i cristiani impegnati in nome delle loro fede in particolare negli ambienti educativi, è una spiritualità pastorale che permetta loro di attuare, con realismo, intelligenza e felicità, il loro desiderio di vivere e di trasmettere il tesoro del Vangelo. Questo tipo di spiritualità pastorale è fondamentalmente diaconale: è mettersi al servizio dello sviluppo della piena umanità di ciascuno, nella propria identità e singolarità per la grazia di Dio. Questa spiritualità pastorale lotta contro le forze del male e promuove, rispettando l’altro e preoccupandosi del bene comune, l’emergere di ognuno a se stesso. Negli ambienti educativi siamo, dunque, in attitudine diaconale, affinché il nostro servizio susciti vita in tutte le sue dimensioni: fisica, psichica, intellettiva, affettiva, culturale, spirituale.


Ma non ci accontentiamo di riconoscere la grazia di Dio in questa vita buona che emerge, si afferma, si dilata…manifestando il mistero pasquale, il passaggio della vita attraverso la grazia di Cristo. Vogliamo darne anche testimonianza esplicita, affinché il mistero pasquale venga conosciuto e riconosciuto: “Liberamente accogliamo – RdV 2.1.1. – il mistero pasquale di Gesù Cristo con tutte le sue esigenze di conversione e di vita nuova”. Così si collegano strettamente umanizzazione ed evangelizzazione. Perché se Dio ama, se Dio genera alla vita umana e salva, riconoscere quest’opera di Dio, celebrarla, rallegrarsene, nutrirsene, significa partecipare alla generazione stessa.


·       In questa spiritualità pastorale di tipo diaconale, non ci si stupisce che la fede cristiana sia difficile, che incontri resistenze; non ci si scandalizza, non ci si adombra, non ci si rattrista che l’incredulità, l’insofferenza, il dubbio, la critica, la presa di distanza…siano per la maggior parte dei nostri ragazzi e dei loro genitori delle situazioni “normali”.


·       Una spiritualità pastorale di tipo diaconale non vede il mondo attuale come un mondo che si scristianizza e al quale bisognerebbe opporsi, ma come un mondo diventato plurale e secolare, le cui sfide sociali, culturali, politiche e le aspirazioni spirituali forniscono nuove opportunità al Vangelo.


·       Una spiritualità pastorale di tipo diaconale non si identifica con un passato che ora è fortemente minacciato e di cui bisognerebbe difendere l’esistenza; al contrario, si considera una forza propositiva e fondante per costruire il mondo di domani. I cristiani, in questa situazione, non hanno nulla da perdere, ma tutto da guadagnare: si sforzano semplicemente di essere, nella società e per essa, una forza fondante di umanizzazione in nome del Vangelo che essi proclamano e propongono a chi vuole ascoltarlo.[2]



Si tratta, in una battuta, di acconsentire a servire la vita così come essa è, e non come vorremmo che fosse: è vegliare al bene, è volere il bene, lottando contro tutte le forze del male, ridando nuova vita, attualizzando, rigenerando, per l’oggi, quello che fu all’origine della vocazione di Giovanna Antida e della sua famiglia

spirituale:






Servire il Regno di Dio,
lavorando per la liberazione dal male
in tutte le sue forme,
è cooperare alla salvezza di tutti gli uomini e di tutto l’umano.
(Intenzione fondazionale di J.A. Thouret)


[1] Ci riferiamo qui a Paesi come la Germania orientale, la Svezia, la Repubblica Ceca, l’Olanda, un’area europea dove la maggioranza della popolazione è semplicemente e serenamente a-religioso. E bisogna guardarsi bene dall’insinuare che l’homo areligiosus della Germania orientale sia per questo meno attento ai valori umani dell’homo religiosus della Baviera o della Polonia. Sotto questo aspetto, la situazione in Germania orientale è uguale e per certi versi migliore, di quella della Germania occidentale, ancora fortemente strutturata dal cristianesimo.
[2] Nella società, possiamo distinguere dei poli « istituiti », frutto della storia, e dei « poli fondanti », che ne modificano il corso. Quando i cristiani si identificano con i poli istituiti della società, allora percepiscono i poli fondanti come una minaccia, si sentono braccati, entrano in un processo di autodifesa e di resistenza contro ciò che rischia di travolgerli. Se, al contrario, i cristiani non si identificano con i poli istituti, essi li riconoscono come se esistessero senza di loro, ma anche come uno spazio nel quale possono impegnarsi per modificare le cose e indirizzarle in senso evangelico. In questo caso, i cristiani non si sentono più assediati, ma si impegnano nelle situazioni così come esse si presentano, consapevoli di potervi giocare il proprio ruolo di cambiamento, di “polo fondante”. In questo caso, i cristiani si sforzano di essere, nella società e per essa, una forza di umanizzazione in nome del Vangelo, che essi proclamano e propongono a chi vuole ascoltarlo.
 


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ottima riflessione. Mi congratulo.

Anonimo ha detto...

Una fede COMPRENSIBILE. Non è facile trasmetterla, ma bisogna provarci in continuazione e la scuola è un luogo privilegiato per farlo.

Anonimo ha detto...

E'una grande sfida,ma dipende molto da noi educatori:dobbiamo sforzarci di essere credenti,credibili e creduti,solo così con l'aiuto di Dio,la scuola può essere un'opportunità per i nostri ragazzi di desiderare e crescere nella fede